ADHD, differenze nelle varie età, iter diagnostico e interventi

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ADHD, differenze nelle varie età, iter diagnostico e interventi

La ADHD è un acronimo inglese attention-deficit/ hyperactivity disorder, in italiano è il disturbo da deficit attentivo e di iperattività.

E’ un disturbo del neuro sviluppo che si manifesta già nelle prime fasi dello sviluppo e ha delle caratteristiche ben specifiche, che causano la compromissione del funzionamento del bambino in vari aspetti della vita: personale, sociale, scolastico e da adulto nella sfera lavorativa.

La parola neuro sta a significare che sono coinvolte parti del cervello, che hanno durante la fase pre natale post natale, una serie di modificazioni; per cui quello che ci si aspetta  normalmente da un bambino sull’attenzione o iperattività, non è uguale agli altri, il loro cervello funziona in un altro modo.

Inoltre è importante ricordare che è un disturbo a eziologia multifattoriale, vuol dire che ci sono diverse componenti che lavorano tra di loro, fattori genetici e neurobiologici, ambientali che mescolati tra loro portano ad avere queste caratteristiche.

Spesso il bambino con problemi di disattenzione viene additato come, testa fra le nuvole, si dimentica tutto, sembra che non ascolti; il bambino iperattivo invece è quello che non sa stare fermo, continua a muoversi sulla sedia, continua ad alzarsi per qualsiasi motivo, qualsiasi rumore, è irrequieto, si sposta in continuazione; l’impulsività invece è dettata dal fatto che il bambino ha una difficoltà di controllo dei suoi comportamenti, interrompe gli altri o parla senza aspettare il suo turno.

La ADHD in età prescolare e in età scolare

La ADHD in età prescolare è difficile da diagnosticare, perché i bambini così piccolini hanno un livello di attenzione, memoria che non sono come quello di un adulto; quindi non ci possiamo aspettare che un bambino a quell’età stia sempre fermo, sempre attento, però possiamo notare degli atteggiamenti che ci fanno da sentinella.

Esempio il grado di iperattività, un bambino che è impossibile da tenere fermo, impossibile da gestire, non si riesce a fargli fare le attività, non sta seduto, non fa i lavoretti, è sempre in giro.

Comportamenti aggressivi, crisi di rabbia a volte ingiustificate, può essere litigioso, fa incidenti in continuazione, ha difficoltà a dormire, sono tutti campanelli di allarme non solo della ADHD ma anche di altri tipi di disturbi, e devono essere in qualche modo monitorati.

Quando il bambino arriva in età scolare e inizia la scuola primaria, la maestra può descriverlo  così “fa fatica, è sulle nuvole, sempre a guardare fuori dalla finestra, ogni minimo rumore lo distrae, non sta fermo, continua a muoversi sula sedia, non riesce a tenere una posizione mentre scrive, evita di fare i compiti che siano un po’ più prolungati rispetto al normale e ha a volte un comportamento provocatorio nei confronti dei pari o anche delle maestre”.

Quando questi sintomi cominciano a manifestarsi in modo costante a scuola, a casa,  all’esterno delle mura domestiche, può essere il caso di chiedere un aiuto a uno specialista.

Uno dei criteri per ipotizzare la ADHD, è che questi disturbi siano trasversali ai vari ambiti di vita del bambino, un bambino che ha la ADHD, ce l’ha sempre.

ADHD in età adolescenziale e adulta

In adolescenza il disturbo dell’attenzione va a minare le attività scolastiche e di organizzazione della vita quotidiana; abbiamo un ragazzo che perde le chiavi di casa, si dimentica la giacca, si dimentica lo zaino ma anche cose che gli interessano come il cellulare.  Questo livello di disattenzione combinato con tutta una serie di difficoltà crea una instabilità scolastica e lavorativa ma anche relazionale, cioè fa fatica a mantenere relazioni lunghe, a mantenere gli impegni, fino ad arrivare a situazioni più pericolose con condotte depressive, piuttosto che uso di sostanze.

In età adulta il suo sviluppo può arrivare a portare a delle forti difficoltà nell’organizzazione del lavoro, a condotte rischiose, può andare sottostima.

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ADHD nei contesti di vita, presa in carico e iter diagnostico

Per introdurre il discorso sui contesti in cui si presenta la ADHD, vi leggo una frase di una mamma “Riccardo si alza continuamente dalla sedia, ogni scusa è buona, acqua, pipì, merenda, va a salutare i fratelli e questo accade non solo a scuola o a casa, ma anche nell’attività sportiva, a catechismo, al ristorante, non riusciamo neanche ad andare a mangiare una pizza in pace. Qualsiasi cosa lo distrae anche la mosca che vola, le maestre continuamente lo richiamano, a volte se lo tengono vicino alla cattedra in modo che siano sicure che stia seguendo, che stia facendo quello che fa la classe ma sembra sempre disattento, non riusciamo neanche  a uscire, a fare un viaggio, andare fuori da qualche parte tranquillamente e quando lo invitano i compagni per i compleanni, io tremo”

All’interno di questa frase c’è tutto, la disattenzione, la disorganizzazione, iperattività e una fortissima componente emotiva del genitore sottolineata con quel “io tremo”.

Perché la ADHD quando non è diagnosticata, ha attorno a se un alone di disinformazione, di pregiudizio e di stereotipo molto pesante, il bambino con ADHD specialmente quello con l’iperattività molto alta, è il classico bambino che viene additato come maleducato al parco, alle feste, a scuola e il genitore sente addosso un peso gigantesco e si fa la classica domanda, ma è colpa mia? non l’ho aiutato? eppure io gliel’ho detto di non fare così.

I genitori decidono così di intervenire portando Riccardo prima dalla pediatra e poi sotto sua indicazione da uno specialista. Durante il primo colloquio con lo specialista, ai genitori viene chiesto l’anamnesi ovvero tutta quella serie di informazioni che riguardano il bambino; la nascita, la gestazione, malattie, ricoveri, le informazioni rispetto alla famiglia, c’è stato qualche altro parente che ha avuto diagnosi di questo tipo, si chiede com’è la vita scolastica (i voti, le prestazioni, i vissuti, comportamenti, cosa dicono le maestre) si possono utilizzare anche questionari osservativi che vengono dati ai genitori, in cui essi devono per un po’ di tempo osservare il bambino e rispondere alle domande sulla regolarità con la quale assume certi comportamenti.

Durante il secondo incontro si inizia con la vera e propria valutazione del funzionamento cognitivo del bambino. E’ importante per la diagnosi valutare il funzionamento cognitivo,  comportamentale, emotivo, i punti di forza e di debolezza; si verificano allora quali siano le strategie cognitive messe in atto dal bambino durante lo svolgimento di alcune prove, prove verbali, spaziali, di memoria, esecutive, a tanti livelli.

Poi verranno valutati gli apprendimenti, questo serve perché molto spesso la ADHD è in mobilità con il problema di DSA o di apprendimento, cioè coesistono, si presentano in contemporanea, quindi le valutazioni degli apprendimenti aiutano a scremare e capire a quale disturbo sono legate queste difficoltà. 

Alla luce dei risultati di queste valutazioni, viene data una restituzione ai genitori tramite un colloquio dove il professionista mette in chiaro i punti di forza e le aree in cui invece bisogna aiutare Riccardo a migliorare il suo funzionamento neuro psicologico. 

Alla fine della diagnosi arriverà l’esito in cui verrà comunicato se il bambino ha o meno un disturbo ADHD, se sia combinato quindi disattenzione e iperattività, oppure solo di disattenzione, o solo di iperattività o impulsività e se sono di livello lieve, medio o severo.

A questo punto si pensa assieme ai genitori a quali siano gli interventi da mettere in atto;  essendo che la ADHD prende trasversalmente tutte le aree di vita del bambino, anche gli interventi vengono fatti di concerto, c’è la terapia, c’è il supporto dello specialista ma ci sono anche gli interventi da fare con i genitori e con le maestre.

Il primo intervento che va bene sia sul paziente, sui genitori e sulla scuola è la psicoeducazione, ossia tutta una serie di azioni che mirano a dare le informazioni esatte al bambino, al genitore e alla scuola su che cos’è la ADHD, per sfatare stereotipi, distorsioni, informazioni errate.

Il primo intento è togliere l’idea che Riccardo sia semplicemente svogliato e maleducato; se Riccardo ha una diagnosi di ADHD deve essere rispettata e deve essere capita e bisogna comportarsi di conseguenza; una volta che questo è accettato allora si possono dare una serie di strategie e accorgimenti da usare. 

Non dimentichiamo che anche al bambino deve essere spiegato che cosa vuol dire avere quella diagnosi, che cosa vuol dire che il suo funzionamento cognitivo è fatto così, cosa vuol dire che i suoi comportamenti sono così, che non è cattivo lui, che non è svogliato, ma che ha una serie di atteggiamenti che lo portano a comportarsi così.

Con i genitori, un passaggio molto importante è fare training, è un lavoro di gruppo con  famiglie che affrontano lo stesso problema, in cui oltre a dare informazioni, strategie, consigli, accorgimenti si promuove la condivisione emotiva di quello che si sta vivendo. La parte emotiva viene supportata, perché spesso capita che queste famiglie vengano isolate, vengano etichettate e di conseguenza emarginate; quindi avere una esperienza con genitori che stanno vivendo lo stesso tipo di situazione fa gruppo, alleggerisce ed è importantissimo.

La psicoeducazione è anche per gli insegnanti, per raccontare esattamente a loro chi è Riccardo e spiegare che non è maleducato o svogliato, nè fa apposta a fare le linguacce.

Si possono dare suggerimenti e consigli su pratiche da mettere in atto a scuola; è importantissimo questo, perché cambia proprio il punto di vista rispetto ai comportamenti del bambino e di conseguenza si modifica anche l’atteggiamento degli insegnanti. 

Ci sono degli interventi, chiamati comportamentali, che se pensati e applicati all’intera classe  fanno bene a Riccardo ma anche ad altri bambini che magari hanno altre difficoltà; questo aiuta Riccardo a non sentirsi oggetto di comportamenti diversi, che non si sente quello sbagliato ma che tutti quanti possono trovare beneficio e vantaggio da questa serie di impostazioni comportamentali diverse.

Prima di mettere in pratica questi interventi è bene parlare all’intera classe della diversità, far passare che tutti abbiamo qualcosa di diverso, ognuno ha un suo funzionamento, quindi Riccardo funziona con la ADHD, Giovanni con l’autismo, Luisa con la disortografia; mettere i bambini in cerchio e fargli parlare delle loro caratteristiche toglie quel velo di omertà e di silenzio e vengono aiutati ad imparare e accettare le diversità di tutti, a collaborare e  rispettare le esigenze educative.

Esempio, la prima cosa da fare è una osservazione di quello che succede in classe, Riccardo alle 11 comincia ad alzarsi, girarsi verso il compagno e fare le linguacce, lancia i fogli, lancia la gomma.

Questo è il comportamento che noi vediamo ma prima c’è stato un qualcosa che lo ha scatenato? è forse l’orario? è stanco? stiamo facendo una attività troppo lunga per lui? qualcuno l’ha infastidito? ha bisogno di alzarsi? 

Quali sono state le conseguenze antecedenti e conseguenti il comportamento? Può essere che ci siano alcuni comportamenti specifici che si ripetono in continuazione e che fanno da miccia, allora si può attivarsi con operazioni che intervengono sul prima che la miccia si accenda.   Esempio il sistema del tabellone con le stelline, esso è un sistema semplicissimo per lavorare sui rinforzi, possono essere rinforzi simbolici come la stellina o rinforzi tangibili come un premio,

Un tabellone in cui vengono distribuiti i punteggi ai comportamenti adeguati oppure tolti se il comportamento è inadeguato, questa è una cosa che funziona per qualsiasi bambino. Serve prima di tutto perché è un impatto visivo per chiunque lo guarda per vedere l’andamento del comportamento e poi è da stimolo e incentivo adeguarsi a comportamenti corretti e ripetere il comportamento positivo, per  ottenere il premio.

Ci possono essere lavori sull’autoistruzione, spesso i bambini non riescono a tenere a mente la routine, le regole, quindi avere un sistema visivo di fogli in cui ci sono delle auto istruzioni su quali comportamenti vogliamo che vengano tenuti, quale routine sarà prevista durante la giornata, al bambino serve per dirsi quello che deve fare, darsi istruzioni; in questo modo si aiuta il bambino a guidare il proprio comportamento, il bambino si sente anche più efficace efficiente.

L’importante è che l’ottica con cui l’adulto mette in pratica i punteggi, i rinforzi e le sanzioni eventuali che possono esserci, non sia una ottica mai punitiva. Il rinforzo, il punteggio dato o tolto non deve essere mai fatto basandosi su quanto quel comportamento ci ha dato fastidio, o quanto quel comportamento ci abbia fatto arrabbiare, non ci deve essere una componente emotivo da parte dell’adulto punitivo.

Se ci sono delle conseguenze sui comportamenti devono essere assolutamente di tipo riparativo non punitivo; se rompi aggiusti, se sporchi pulisci, quindi deve essere priva di aggressività da parte dell’adulto.

Inoltre deve essere ripreso immediatamente, non che il fatto sia successo adesso e avrà la conseguenza fra due ore, perché il bambino spesso fa fatica a gestire la situazione temporale e deve essere proporzionato alla cosa successa, deve essere facilmente capibile e applicabile e adatto all’età. 

Per far si che il bambino stia meglio in classe, l’insegnante può prevedere dei tempi di lavoro e grado di difficoltà diverso per lui ma anche per altri, ad esempio far ripetere al bambino le informazioni principali contenute in un testo quando si nota che è stato attento, quindi rinforzare il fatto che lui in quel momento ce l’ha fatta, sottolineare in senso proattivo, in senso positivo.

Si possono attribuirgli compiti tipo far fare le fotocopie, Riccardo sa che quando la maestra lo chiede esce, fa le fotocopie e le distribuisce ai suoi compagni; questo rafforza l’autostima, da un senso al movimento perché magari ha bisogno in quel momento di alzarsi più spesso, di interrompere l’attività e non crea assolutamente nessuna problematica  a nessuno della classe.

Questo tipo di impostazioni, di vedere, di pensare Riccardo alleggerisce moltissimo sia l’insegnante, sia i genitori perché va a cascata, cioè se Riccardo vive meglio la scuola, le insegnanti capiscono meglio Riccardo e ci si adopera con tutta questa serie di interventi, Riccardo avrà una vita scolastica migliore, avrà dei risultati migliori, avrà migliorato anche il rapporto con gli altri, quindi ne verrà una situazione più distesa e serena emotivamente anche a casa. 

Dott.Ssa Fiammetta Gioia, psicologa pedagogista, specializzata nel trattamento e riabilitazione di disturbi dell'apprendimento e del comportamento

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